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Lazenby (ep)

by Lazenby.

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1.
Mi dici “è tardi, devo andare” ma non è vero non è proprio un dovere perciò ti prego restiamo qui senza far niente senza parlare mi giuri che chiamerai che non mi dimenticherai ma se ti chiedo qual è il colore dei miei occhi non riesci senza guardare perchè l’unico modo di fermare il tempo è osservarlo fisso senza pensare mi domando soltanto se tu stia già ridendo E’ durato un secondo Mi dici “dai, non scherzare” avremo altre vite da raccontare mi dai un pugno sul braccio e ti alzi io ti guardo di schiena che attraversi la strada i treni sono veloci è un binario che ti guida è sicura la curva è corretta la velocità perchè l’unico modo di fermare il tempo è osservarlo fisso senza pensare mi domando soltanto se tu stia già ridendo E’ durato un secondo io girato di spalle sono ancora fermo qua e non ricordo il colore dei tuoi occhi che ora non posso guardare Mi dici “è tardi, devo andare” ma non è vero non è proprio un dovere perciò ti prego restiamo qui senza far niente senza parlare perchè l’unico modo di fermare il tempo è osservarlo fisso senza pensare prova solo un istante a ignorarne il passare E vedrai come corre
2.
Ho comprato un biglietto Per nessun posto Per un altrove che non ha un nome Dove finisce la ferrovia Ho seguito una stella Che non ha cielo Una rotta ubriaca verso l’inverno Dove finisce la ferrovia Ho venduto i miei dadi Truccati di nero Per un cappello di pinne di pesce Dove finisce la ferrovia Ho versato un lacrima Nel tuo bicchiere E ho vegliato su te per guardarti dormire Dove finisce la ferrovia Cosa ho trovato tu non lo sai non ci crederesti mai C’è solo un ciuffo d’erba amara Dove finisce la ferrovia C’è un oste che paga Da bere ai cani E un vecchio già morto quindici volte Dove finisce la ferrovia E un prete esiliato Mandato a invecchiare Tra case di neve e merde di cane Dove finisce la ferrovia Cosa ho trovato tu non lo sai non ci crederesti mai C’è solo un ciuffo d’erba amara Dove finisce la ferrovia C’è un pezzo di specchio Caduto in un lago E il riflesso di un sole di un altro paese Dove finisce la ferrovia E un contrabbandiere A cavallo di un porco Somiglia a un dio giovane, un dio molestato Dove finisce la ferrovia E binari ritorti Sofferenti nell’abbraccio Come due serpenti neri Al termine di un viaggio Che finisce con loro In mezzo ad un niente Sotto un sole d’oro
3.
Le strade sono tutte di Mazzini, di Garibaldi, oppure son dei papi, di quelli che scrivono, che dan comandi, o fan la guerra dei padroni o dei capi Le strade son di martiri e soldati O son scienziati o son dei re Di quelli che muoiono e hanno un posto nella storia Non di quelli come me Le piazze i vicoli e i viali Prova a leggere a chi sono intitolati Corso Roma, guarda che immaginazione Dimmi dove non ci sia Piazza Cavour E mai una volta che mi sia capitato di vedere “via di uno che faceva il tornitore” “via di uno che stava sotto un ciliegio otto ore” “via di uno che non ha fatto niente perché andava a spasso tutto il giorno ad abbracciar la gente” Con tutte queste strade che c’abbiamo È possibile che non si riesca mai trovarne una che sia dedicata alla gente comune come noi E mai una volta che mi sia capitato di vedere “via di uno che faceva del suo peggio” “via di uno che è caduto da un ponteggio” “via di uno che non ha fatto niente perché da piccolo gli han detto che era solo un deficiente” E pensare che tutto quanto il mondo è fatto proprio di gente come me che mangia il radicchio alla finestra contenta di stare a piedi nudi, d’estate. I santi hanno l’onore degli altari I nomi scritti in tutti i calendari gli statisti con le statue o con i busti in tante piazze o nei corridoi Addirittura il militare ignoto Per ricordare i caduti senza nome E noi che un nome, ancora, ce l’abbiamo Non interessa molto, come mai?
4.
Sono le quattro di un torrido luglio mi cade la vita su un piede, di taglio Sfuggo ai discorsi degli ombrelloni mi sento un agnello in mezzo ai leoni Scavalco palette, secchielli, gelati, gazzette e romanzi appena iniziati castelli, fossati, bomboloni e bignè, sorvolo la sabbia mi fiondo da te Ma cos`è quest’impaccio, questa voglia, quasi un bisogno di levarmi da un impiccio? Sarà il calore della stanza, o sarà il fischio del treno sarà quest’età che avanza, e ne avanza sempre meno Ma mi fanno male i denti, e sei tu o sono io? È un dolore che non senti, forse il pizzicore lieve dell’addio Suda la pelle un po’ troppo rosa, f orse conviene che beva qualcosa La bella barista sorride e mi vede, che la sto fissando; l’accento è portoghese Ha gli occhi neri e il profumo ha un colore, che non so dire e non so dire “amore” Rido e le chiedo di dirmi com’è Lisbona? Mi guarda e mi dice: sono di Savona Ma cos`è quest’impaccio, questa voglia, quasi un bisogno di levarmi da un impiccio? Sarà, sarà che sei una stronza, e che ho quasi perso il treno Sarà quest’età che avanza, e ne avanza ancora meno Ma mi sento più leggero, questa volta salgo solo io Camicia bianca càppello nero, è il sollievo più sottile dell’addio
5.
Son le sette meno un quarto Un altro giorno che comincia Sprofondato in un sedile vecchio treno regionale di provincia sale una signora enorme con le scarpe a punta nere troppo facile intuire dove guarda e ha già deciso di sedere ogni uomo è un viaggio in treno da divider con qualcuno se va bene è un bell’incontro una promessa di vedersi di incontrarsi qualche volta si parte carichi di sogni ma si arriva sempre soli tra sudore e dopobarba stare bene è un’altra cosa la signora mi stordisce coi discorsi su sua figlia che si sposa io sorrido e fisso un punto tra il suo orecchio e l’infinito fuori è tutto così bianco vorrei essere là nel mezzo un po’ smarrito ogni uomo è un viaggio in treno mille volte ci si ferma mai una volta che si chieda se non valga un po’ la pena scender prima o proseguire ci si sale armati di coraggio ma si scende ogni volta più codardi Il controllore si stiracchia Imprecando ai suoi malanni Con la faccia di chi aspetta Un caffè ordinato da vent’anni dovevo scendere a Milano mi addormento nel cappotto perché ora mi ritrovo a Comezzate sul Garunchio di sotto
6.
Ottobre 04:42
Poi finisce che ti svegli una mattina Ed è già ottobre e tu sei sempre in questo posto Sono anni che ci vivi ancora non lo conosci E lo percorri per prenderne possesso Un vento schiaffeggia La signora e il cane avanzano a fatica Lui, muso affilato e sguardo fiero di chi affronta la più grande avventura della vita Ma ottobre questo non lo sa Ottobre non si cura di noi, di una donna o di un cane Poi finisce che ti svegli una mattina Ed è già ottobre e tu non hai mai più risposto I ragazzi fuori dalla scuola guardano distratti La disillusione te la calcolano addosso pensando se non sia il caso che questa rivoluzione la si possa rimandare a domani prima chiediamo il permesso e dopo leviamo le mani Ma ottobre questo non lo sa Ottobre non si cura di noi, nè di una rivoluzione E sbirciare le finestre illuminate delle case degli altri Cercare in ogni movimento storie da raccontarti Ma ottobre questo non lo sa Ottobre non si cura di noi, o di una rivoluzione il vento crudele noncurante del passare della gente spazza la via da tutte quante le sue ombre da quanto di buono era rimasto di settembre Ma ottobre questo non lo sa Ottobre non si cura di noi e nemmeno ci prova

credits

released August 3, 2015

Lazenby.

Claudio Catena: batteria
Mauro Catena: voce, chitarra acustica
Roberto Moriani: tastiere, cori
Massimiliano Paganini: chitarra elettrica

Stefano Ferrara ha suonato il basso in tutti i brani
Tutti i brani sono scritti da Roberto Moriani e Mauro Catena.
“I nomi delle strade” è liberamente tratta dalla poesia omonima di Nino Pedretti.
Il paese Comezzate sul Garunchio (di sotto) esiste in quanto frutto della fantasia di Marco Makkox Dambrosio.

Arrangiato e prodotto dai Lazenby.

Registrato il 24 e 25 gennaio 2015, mixato e masterizzato da Andrea Cajelli allo studio LA SAUNA di Varano Borghi (VA)

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Lazenby. Lugano, Switzerland

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